Terrorismo linguistico
Stiamo vivendo un periodo complicato, probabilmente uno dei più complicati della storia. A partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza nel nostro Paese dovuto al Covid-19, siamo stati catapultati in un contesto simile a quello di una guerra. A dircelo non sono stati (soltanto) i numeri, le statistiche, le immagini e le cronache ma soprattutto il linguaggio utilizzato dagli addetti ai lavori e dai mezzi di comunicazione.
Il nemico è un virus avente una pericolosità tale da costringerci all’isolamento, vietare ogni assembramento e consentire solo ingressi contingentati secondo la prassi del distanziamento sociale. Ne sono derivati mesi di coprifuoco. Medici, infermieri e operatori sanitari lavorano in prima linea e lottano in trincea; ci sono poi i cosiddetti “negazionisti”, coloro che, secondo la visione diffusa dalla vulgata dominante, affermano che viviamo in una dittatura sanitaria.
Il gergo militare figurato rappresenta l’asso nella manica per i canali dell’informazione al fine di garantire una comunicazione unilaterale che, data una direttiva, porta alla sua cieca obbedienza. A ciò si aggiunge l’interessante mole di forestierismi (lockdown, Coronavirus, smart working, triage), acronimi (DPCM, DPI, RT) e tecnicismi (pandemia, quarantena, sanificazione, curva epidemica, immunità di gregge) che adempie all’obiettivo di trasmettere paura e agitazione alla massa. Un autentico (concedetemelo!) bombardamento terminologico volto a instaurare un clima di preoccupazione e incertezza.
Un linguaggio che minaccia quotidianamente la chiusura di attività e la suddivisione in ‘zone’ (ennesimo rimando al gergo bellico) qualora si dovesse superare un dato numero o una percentuale stabilita. Se inizialmente dovevamo “restare a casa” per stare al sicuro (un po’ come stare in un bunker in caso di attacco nucleare), ora la soluzione è stata identificata nella massiccia campagna vaccinale dai toni tutt’altro che edificanti. Ne sono un esempio: “L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire” del Presidente Mario Draghi e il conseguente tweet del virologo Roberto Burioni: “Propongo una colletta per pagare ai novax (sic!) gli abbonamenti Netflix per quando dal 5 agosto saranno agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci.”
Da ciò si evince che la situazione di emergenza che stiamo attraversando non riguarda soltanto la sfera sanitaria bensì anche quella sociale. Se è vero che, citando Manzoni, “il linguaggio è stato lavorato dagli uomini per intendersi tra loro, non per ingannarsi a vicenda”, in questo caso assistiamo a un uso manipolatorio della lingua, ben lontano dal conciliare una Comunità e tendente nuovamente al divide et impera.
Analizza i linguaggi specialistici e i loro mutamenti nella società attuale scoprendone dei risvolti insoliti, scomodi, irriverenti. Scrive su tematiche di attualità poco trattate ma non meno interessanti di quelle quotidianamente propinate.