Ddl Zan, il lungo silenzio dei giuristi
Circa un anno fa il Comitato per le Pari Opportunità degli Ordini degli Avvocati esprimeva a nome dell’avvocatura il sostegno al Ddl Zan, in omaggio al c.d. “cambiamento culturale”. Una posizione che venne assunta fuori dalle procedure consultive degli Ordini, alcuni dei quali (pochi, in verità) ebbero il coraggio di andare oltre la “maggioranza silenziosa” dei giuristi ed espressero pubblicamente il loro dissenso a riguardo.
Ad un anno di distanza, i giuristi sembrano totalmente scomparsi dal dibattito sul tema, relegato ormai agli influencer, vere e proprie pedine d’attacco a sostegno di una sinistra che ha fatto di questa norma una bandiera (arcobaleno, s’intende) e che hanno buon gioco a scagliarsi contro una destra istituzionale che appare poco consapevole della posta in gioco.
Ma davvero i giuristi italiani sono tutti allineati alla posizione espressa un anno fa dall’organismo nazionale forense e hanno delegato la loro funzione storica a Fedez, Achille Lauro e ai Saverio Tommasi? E’ retorico rispondere a questa domanda, non potendo prescindere da come l’intellighenzia mediatica direzioni il dibattito scegliendo accuratamente a chi dare spazio o meno.
Eppure non c’è più il solitario avv. Gianfranco Amato, che già dal 2014 girava l’Italia per spiegare cosa avrebbe significato l’approvazione dell’allora Ddl Scalfarotto e i numerosi episodi di programmi didattici gstiti da associazioni LGBT nelle scuole primarie. E nemmeno la docente universitaria di filosofia del diritto Laura Pallazzani. Si potrebbe ccitare l’infaticabile lavoro di Alfredo Mantovano, Consigliere della Corte di Cassazione ed ex sottosegretario gli Interni, che come presidente del Centro Studi Livatino ha dato vita a due pubblicazioni delle Edizioni Cantagalli (“omofobi per legge? Colpevoli per non aver commesso il fatto” e “Legge omofobia. Perchè non va”). Lo stesso Mantovano ha avuto altresì il merito di cogliere la ratio della norma in questione: la vera posta in gioco è “Una idea diversa di uomo. Il transumanesimo, l’autodeterminazione assoluta. Questa non è una faccenda per giuristi o per una ramo del Parlamento, ma qualcosa che deve far riflettere tutti, al di là dei ruoli istituzionali” (La Verità, 22 maggio 2021). Pare che tutto questo non sia stato sufficientemente compreso dal centrodestra italiano.
Con quali metodi l’On. Zan e le associazioni LGBT vogliano realizzare questo nuovo “sol dell’avvenire” non è più nemmeno nascosto da loro stessi: alla propaganda egemonica devono affiancarsi l’educazione scolastica e la repressione penale.
Sul primo profilo, non casuale è che in Parlamento sia stata depositata la Pdl n.2634 denominata “Disposizioni per la promozione della diversità e dell’inclusione nei libri scolastici nonchè istituzione di un osservatorio nazionale”. Al netto della creazione dell’ennesimo “osservatorio”, ben chiaro è l’obiettivo: “adeguare l’ordinamento italiano ai principali standard internazionali in materia di diversità e di inclusione nel settore dei libri di testo scolastici, attraverso un’efficace azione di prevenzione e di contrasto dei pregiudizi e degli stereotipi di genere, nonchè di quelli relativi alla cultura, all’etnia e all’abilità, valorizzando la diversità”. Cosa significa in pratica questo linguaggio? Ce lo spiega Antonio Baldaassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale: “Il pericolo è nella genericità della terminologia. Siamo in un paese in cui la parola “odio” viene usata continuamente. Nella polemica politica quotidiana, la sinistra dice che la destra è il “partito dell’odio”, mentre altre formazioni vengono etichettate come il “partito dell’amore”. Direi che si tratta di definizioni talmente generiche che non è certo sufficiente che il relatore venga a dire che la libertà d’opinione sarà rispettata. Il suo ddl sarà messo nelle mani dei giudici e noi sappiamo bene che, tra i magistrati, c’è chi la pensa in un modo e chi in un altro. In particolare in Italia, dove c’è una forte politicizzazione della magistratura, figuriamoci cosa può accadere”.
Che il Ddl Zan rappresenti l’emblema dell’utilizzo della norma penale in senso pedagogico prima ancora che ideologico è una realtà che gli stessi promotori non si sforzano nemmeno di negare, al punto di escludere categoricamente una trattativa con il resto del governo sull’art. 7, che prevede l’istituzione della Giornata contro l’Omolesbobitransfobia.
La battaglia per la libertà, che è innanzitutto quella di dire no, è appena cominciata. Suonerà la campana anche per il mondo forense?
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