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La strage degli innocenti

| Liutprando |

A Milano il 20 di ottobre è ormai un giorno qualunque, praticamente quasi nessun milanese saprebbe dire cosa succede quando, in zona Gorla, alcune decine di persone si radunano ogni anno ai piedi di una statua che raffigura il corpicino inerme di un infante trasportato da una donna, allegoria della morte. Proprio lì, laddove sorgeva la scuola “Francesco Crispi”, nido di gioia e illacrimata sepoltura di quei piccoli, oggi vi è un ossario che di essi conserva le spoglie, nella cripta incise in oro le parole di un Cristo dolente: “E vi avevo detto di amarvi come fratelli”.


Una delle troppe vicende storiche su cui è calato un sipario dalle sfumature a stelle e strisce: il 20 ottobre del 1944, infatti, Gorla e Precotto vennero investite da 80 tonnellate di bombe lanciate dai bombardieri dell’aviazione statunitense, partiti dalla lontana Puglia con l’obiettivo di colpire gli stabilimenti Breda di Sesto San Giovanni.
Su 614 vittime, si contarono 184 piccoli alunni dell’elementare “Crispi”, le cui innocenti anime vennero annientate dalla democrazia delle bombe di Washington a pochi mesi dalla fine di una guerra per l’Italia ormai perduta; un vero e proprio crimine di guerra che non ha mai conosciuto giustizia nel tribunale dei vincitori. Una significativa ferita supplementare rimasta aperta e sanguinante, almeno fino allo scorso anno quando il sindaco Sala aveva azzardato al governo americano una timida richiesta di pubbliche scuse. Tentativo poi andato a buon fine con la pubblicazione di una lettera di cordoglio dalla console generale USA a Milano, Elizabeth Lee Martinez, che certo non annulla anni di silenzi, e il cui miasma sa tanto di ipocrita e smunta riparazione di convenienza.

Nessun presidente della Repubblica è mai venuto a Gorla, nessun testo scolastico parla della strage, “forse perchè fu opera degli Alleati e non dei tedeschi…”. I documenti militari statunitensi (rintracciati solo nel 1994 da Achille Rastelli), tanto per non rincarare la dose, parlarono di missione fallita e di “danni collaterali”, poi tutto fu consegnato all’oblio.

Eppure, il ricordo di quel “danno collaterale”, intriso di sangue come quelli che a decine hanno funestato l’interminabile dopoguerra globale, plana ancor oggi sopra i vuoti di memoria dei censori di ieri e di oggi e si adagia leggero sui cuori di coloro che di generazione dopo generazione ne tramandano il candido ricordo.

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