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Un fango di “inchieste”

Una ricerca Agcom sui dati delle vendite dei quotidiani nazionali ha registrato un calo degli acquisti cartacei dell’8,8% rispetto al 2022. Ugualmente i quotidiani in formato online non portano a nessuna crescita sul mercato, registrando per l’anno 2023 la stessa percentuale di acquisti del precedente anno 2022.

È evidente che il quotidiano non è (più) il canale d’informazione preferenziale degli italiani, con un mercato al collasso e una perdita in termini di vendite che non può rintracciarsi nel valore (il giornale sia online sia cartaceo rimane un prodotto euro/pezzo basso) ma nemmeno nell’allargamento dei competitor: non esiste un canale d’informazione uguale al Quotidiano, la raccolta di notizie ed approfondimenti al minuto non è garantita da nessun altro mezzo di comunicazione se non dai telegiornali che registrano comunque a chiusura 2023 un calo di ascolti (sulle reti in chiaro) del -2,3% rispetto al 2022.

LARGO ALLA DISINFORMAZIONE: LE “INCHIESTE”

Il grande tema della disinformazione si apre e fa spazio alle piattaforme social dove le notizie migrano da un utente all’altro come il telefono senza fili e dalle sempre più in voga “inchieste”. L’inchiesta giornalistica che ha sempre accompagnato l’informazione quotidiana, rappresentando un approfondimento a corollario e pubblicata dai grandi giornali a tiratura nazionale, era accessibile al lettore attraverso la ricerca, mossa da un interesse preciso. Se i quotidiani non si leggono più, le inchieste prendono spazio da sole, non sono più una scelta tra tante ma l’unica informazione che arriva: quella più potente, più pubblicizzata, che smuove l’interesse di un lettore, e più spesso un ascoltatore passivo, che non sceglie ma si fa andar bene ciò che arriva.

I grandi esperti delle inchieste possono essere pertanto un po’ tutti e molto spesso ci riesce meglio chi sa fare bene il suo marketing al di là del tema che porta: ospitate in tv, viralità online e tensione allo scalpore.

LE PUNTE DI DIAMANTE: SELVAGGIA LUCARELLI

Due dei casi emblematici nel panorama italiano: Fanpage e Selvaggia Lucarelli. Quest’ultima ha dichiarato, in una recente intervista, di essere lei stessa una testata giornalistica. Al netto dell’ego per cui servirebbe un analista, è perfino però difficile darle torto: rappresenta un canale di informazione a tutti gli effetti che, attraverso le sue “inchieste”, sposta in qualche modo il baricentro degli ascoltatori/lettori. Con il suo ultimo libro sul caso Ferragni-Fedez si è garantita un posto in tv e sulla rete per molte settimane: il tema è quello e all’asciutto, non è altro che la storia di due tizi con tanti soldi che non sanno gestire la reputazione delle proprie aziende. Non è interessante nemmeno per la Lucarelli stessa la quale motiva la scelta dell’inchiesta come un approfondimento più largo sul mondo degli influencer e una riflessione sul rapporto che ognuno ha con i social network. Su questo si potrebbe scrivere un saggio ma forse, senza la luce della coppia più famosa d’Italia non avrebbe venduto altrettanto.  Sullo scoppiare del divorzio cascato a pennello tra i due, l’ossessione al gossip ha solamente aiutato: questo categorizza ancor di più l’inconsistenza dell’inchiesta di Lucarelli e di tutta la specie.

LE PUNTE DI DIAMANTE/2: FANPAGE

Per Fanpage invece, l’approccio è diverso e ciò che caratterizza il tipo di inchieste che porta è certamente, ,più di ogni altra cosa, l’ossessione. Ossessione condivisa con Formigli, che a Piazza Pulita ospita il direttore di Fanpage Cancellato ad ogni nuova pubblicazione. La compulsività è rivolta, manco a dirlo, al mondo delle “destre” nel panorama politico nazionale.

Il percorso inizia da lontano, con una inchiesta agli sgoccioli delle Politiche del 2022 che vedranno comunque Giorgia Meloni eletta presidente del Consiglio.

Come in un becero film di spionaggio, un “giornalista” di Fanpage si era messo sotto copertura per scoprire l’acqua calda, cioè che praticamente dietro al partito ci stavano militanti di destra e che il matto del paese non manca mai (Jonghi Lavarini). L’unico buon risultato portato dall’inchiesta è l’evidenza che il Partito è un partito (soldi, potere e interessi) e che l’associazionismo invece è una cosa seria, di cui FanPage non ha voluto raccontar niente di importante perché non sarebbe servito: più utile limare a piacimento la superficie per aderirla alla storia che volevano raccontare. Storia alla quale perfino Fratelli d’Italia ha voluto far finta di credere perché, appunto, il Partito è il Partito (soldi, potere, interessi). 

Nelle ultime settimane invece, con lo stesso approccio investigativo che infetta la storia con un po’ di reality show, Fanpage, ricorrendo sempre al metodo ”sotto-copertura”,  si intrufola negli ambienti romani di Gioventù Nazionale per scoprire ancora una volta che l’acqua è, in questo caso, tiepida: e scoprono che i militanti di Gioventù Nazionale non sono altro che… militanti di Gioventù Nazionale.  Che il tiraggio di questa seconda inchiesta sia minore rispetto alla prima è presto detto: non siamo sotto elezioni.  Di tutto questo però, ciò che conta non è davvero il tema, sia esso Ferragni e Fedez, Gioventù Nazionale, e nemmeno il metodo, che sia il gossip da salone di bellezza o l’intrufolamento ridicolo di Fanpage. 

Ciò che conta è sapere che tutto questo è anche tutto ciò che arriva: che non decidiamo più noi che cosa sapere, che la passività con cui ci poniamo nei confronti dell’informazione inficia la nostra conoscenza che la rende piccola, al servizio di ciò che da fuori, ci vogliono dar da mangiare.  Che non basti comprare un giornale, che forse nemmeno due possono garantirci la via d’uscita dalla disinformazione è anche vero che, aprendo un quotidiano al giorno, potremo essere noi a scegliere su cosa fare la nostra piccola personale, inchiesta quotidiana.

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