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Leggere “per forza” e “insieme”: ecco i Reading Party

INCONTRARSI PER FORZA

L’ultima chicca che Zio Sam ci regala sono i “Reading party”: un ammasso di trentenni in ciabatte si ritrovano sui tetti delle favolose palazzine in stile liberty di Soho a leggere tutti insieme i libri che si portano da casa. La moda ha già varcato l’oceano e da NoLo al Pigneto tutti i tetti in poco tempo pulluleranno di gente che non ha più voglia di fare l’aperitivo, si è data al detox e ha paura di beccare il capo sulle app di dating.

Se la ragione dietro a quest’ultima trovata è la disperata ricerca di qualcosa da fare, leggere diventa un po’ come fare la differenziata quando hai ospiti a cena: pratichi solo quando ti vedono. E si sa che quando vai a casa di qualcuno che spasmodicamente cura l’esatto conferimento dell’umido e della carta, poi è lo stesso che butta tutto nel nero appena chiudi la porta.

Niente a che fare con i club di lettura dove il viaggio si fa insieme e poi ognuno arriva alla sua meta. Niente a che vedere con le biblioteche, luoghi che si risolvono da soli nel silenzio degli altri. E’ solo una terrazza, spesso ben arredata, dove c’è bisogno di incontrarsi per forza per far qualcosa che va fatto da soli: leggere. Il momento intimo e unico che si situa tra l’uomo e il libro, diventa un rimpiazzo forse più salutista ma sicuramente meno sano di una birra al pub. Che leggere non abbia mai procurato danni a nessuno è presto detto (anche se bisognerebbe vedere cosa: non abbiamo a disposizione la visura catastale delle preferenze letterarie di questi raver all’avena), ma è altrettanto vero che il modo in cui si fanno le cose è esattamente il significato delle cose.

IL “DOVERE” DI LEGGERE

Se questo fenomeno risponde sicuramente alla necessità (sempre più pericolosa) di far vedere agli altri ciò che si fa, dove la condivisione on-line e off-line diventa il motore intorno a cui tutta l’esistenza ruota, dove ogni momento intimo, come lo è quello della lettura, diventa solo un pezzo di sé da mostrare, è altrettanto vero che tale Tom Worcester, fondatore del format originale, spiega che l’idea è nata con l’infausta collaborazione del suo coinquilino quando hanno capito che stavano troppo fuori la sera e leggevano troppo poco.

La lettura diventa quindi una necessità non personale e dettata dalla volontà individuale di approcciarsi a qualcosa di nuovo, ma un “dovere” per rispondere all’iper produttività che la nostra contemporaneità richiede, alla stregua della palestra e della dieta.

La sete di conoscenza che ci fa umani, fa spazio ad una subumanità rivolta solo al fuori, al modo in cui ci vede l’altro e alla percezione che ci sentiamo di dover dare di noi stessi. E in fondo basta a volte solo un libro e un po’ di silenzio intorno per ricordarci chi siamo: poi possiamo anche uscire e parlare di quello scrittore che abbiamo scoperto, e ovviamente anche del derby. Un altro modo, in fondo, per restare umani.

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