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I “fantastici” Quattro delle elezioni USA

In tutto l’Occidente americanocentrico le elezioni a stelle e strisce occupano posizioni di rilevo assoluto nell’intero comparto dell’informazione. Chi legge Pensiero Verticale è già sufficientemente edotto in merito alla faziosità prevalentemente liberal-progressista del cosiddetto mainstream e non si stupisce minimamente di fronte alla svergognata sottomissione dell’ apparato mediatico prono ai dettami del geopoliticamente corretto. Quest’ultimo costituisce uno dei capisaldi del dispositivo di controllo e potere totalitario noto come “politicamente corretto”, il suo spazio di azione è proteiforme, l’azione coordinata su diversi piani assicura un’incisività e una pervasività che non trovano precedenti nella storia umana.

IL GEOPOLITICAMENTE CORRETTO

Il geopoliticamente corretto è l’implementazione del noto soft power di cui Jospeh Nye scriveva ben quattro decadi orsono. Stiamo parlando di uno strumento estremamente efficace, posto al vertice di un impianto complesso e stratificato ma che ci permette di intuire la direzione dell’impero a stelle e strisce, le cui difficoltà, sia interne che esterne, sono note e ampiamente analizzate. Osservando lo status quo, l’attuale geopoliticamente corretto impone quindi all’occidentale medio di schierarsi acriticamente dalla parte delle velleità di potenza statunitensi: dal contesto ucraino a quello mediorientale la musica non cambia, gli interessi da servire restano gli stessi con una piccola ma sostanziale differenza: se gli USA hanno coltivato, mantenuto e veicolato, puntualmente all’esterno, un certo grado di violenza, l’Europa, nella sua porzione geografica occidentale, vero gioiello della corona dell’Impero a stelle e strisce, si è crogiolata nell’illusione economicistica della “fine della storia”, praticamente gli unici al mondo ad aver anticipato e creduto al noto paradigma di Francis Fukuyama.

UNO PER TUTTI, TUTTI PER UNO
Per comprendere, con sguardo disincantato e consapevole, tipico della posizione di clientes, quello che come europei ci attende nei prossimi mesi è imprescindibile tirare in ballo quelli che potrebbero essere i principali protagonisti a stelle e strisce: a prescindere da chi si aggiudicherà la Casa Bianca, che sia Kamala Harris o Donald Trump, l’intero comparto mediatico continuerà a replicare il medesimo messaggio di sottomissione e allineamento totale rispetto alla politica estera americana. Si faccia caso al funzionamento del politicamente corretto, il quale riconosce agibilità politica esclusivamente alle rivendicazioni edonistiche-individuali. In pieno ossequio alla scuola post-freudiana e con il beneplacito degli interessi finanziari, istinti basali vengono incanalati lungo infiniti sfogatoi dove a troneggiare è l’interesse del grande capitale finanziario e apolide, sempre pronto ad offrire sconfinate soluzioni agli istinti più biechi e residuali. Tutto, pur di non disturbare il manovratore, lo status quo socioeconomico e geopolitico deve restare immutato: il politicamente corretto e la sua propaggine geopolitica sono struttura e sovrastruttura di un sistema che non ammette di essere minimamente scalfito. Se da parte dei media liberal progressisti sono ben note le posizioni di supporto a prescindere alla candidatura Dem di Kamala Harris, figura riabilitata in mondo visione con la sfacciataggine propria di chi è capace di confondere, con maestria assoluta, ciò che è reale da quello che non lo è, la ragione dell’atteggiamento di avversione nei confronti di Donald Trump è invece da ricercarsi nel fatto che quest’ultimo rappresenti in primis l’antitesi di una buona parte delle posizioni ideologiche liberal.

LA SFIDA DEI VICEPRESIDENTI: LA SCELTA DEMOCRATICA
Questa tornata elettorale statunitense, troppo spesso etichettata con eccesso di enfasi, porta in dote un
elemento di interesse inedito rispetto alle precedenti elezioni: il ruolo dei vicepresidenti. La scelta della Harris è ricaduta sul semisconosciuto Tim Walz, governatore liberal del Minnesota noto più che altro per alcune bizzarre scelte politiche in salsa woke come la legge destinata a finanziare gli assorbenti nelle scuole anche per “maschi non binari”. Una decisione tesa a collocare il duo Harris/Walz in un’area marcatamente liberal-progressista ma al tempo stesso anche obbligata perché l’alternativa allo stesso Tim Walz era costituita da Josh Shapiro governatore della Pennsylvania. Ciò che ha impedito la scelta di Shapiro, ebreo praticante, come vicepresidente è la sua posizione sul conflitto in Terra Santa, tema incandescente in America dove non si placano le manifestazioni nei campus universitari, la lobby israeliana esercita una pressione senza precedenti sul Congresso americano. Approfondire l’inquietante e distopico Antisemitism Act, al momento in attesa di essere approvato al Senato, di cui abbiamo scritto su altre testate , rende l’idea delle condizioni in cui versano gli Stati Uniti e gettano luce su una consistente fetta delle decisioni in materia di politica estera americana. È fondamentale ricordare che da ottobre l’amministrazione Biden – Harris ha sostenuto Israele con 50.000 tonnellate di equipaggiamenti militari. Una fornitura di armamenti che permette di sostenere l’intero apparato militare israeliano, arrivato a destinazione grazie a cinquecento voli e più di cento spedizioni marittime.

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